Gli autori del docufilm "Le spose del Grand Hornu": la giornalista Carmina Conte e il regista Paolo Carboni


Carmina Conte - Giornalista

Giornalista freelance, dall’esperienza pluridecennale nelle principali emittenti televisive regionali sarde. Esperienza poliedrica e multiforme, sia nel giornalismo radiotelevisivo che nella carta stampata e nella gestione di uffici stampa e pubbliche relazioni per enti regionali e nazionali. Pioniera dell’economia in TV, da sempre impegnata per il riconoscimento del ruolo della donna nel giornalismo e sul fronte dell’affermazione del linguaggio di genere, contro gli stereotipi.
Fra i riconoscimenti: il premio “Sardegna economia” e il “Premio Iglesias” di giornalismo televisivo. Impegnata da sempre sui temi della salute e del sociale, tra cui la battaglia per il riconoscimento del diritto dei lavoratori esposti all’amianto nelle industrie chimiche sarde, e su quelli dell’emigrazione.
Presidente del Comitato di Garanzia di “Giulia Giornaliste”.
Testimone e attivissima protagonista del lento, difficile e ancora incompleto cammino dell’emancipazione femminile in Italia e in Sardegna.
Da gennaio 2018, Presidente dell’Associazione “Coordinamento3 – Donne di Sardegna”.


Paolo Carboni: Regista, produttore, videomaker

Alla fine degli anni '80 si forma come operatore di ripresa video, collabora per diversi anni con emittenti regionali e nazionali realizzando programmi televisivi, rotocalchi di informazione e documentari ambientali, e inizia il percorso di videomaker indipendente. Il primo cortometraggio Cadenas (1994) vince il premio come miglior montaggio al concorso Videogramma di Catania. Nel 2000 fonda la casa di produzione "Areavisuale", con cui realizza cortometraggi di finzione fra i quali Sa contra, secondo al concorso nazionale “Villa di Chiesa”. Frequenta corsi sul cinema documentario tenuti dal regista Argentino Fernando Solanas; produce i suoi primi documentari Curraggia 28 luglio 1983 e 18 Giorni - Diario di mala giustizia. Nel 2007 i suoi doc I giganti della Montagna, Storie di donne e Circolare Notturna (2007) ottengono numerosi riconoscimenti. Nel 2009 è III premio al concorso “Il cinema racconta il lavoro“ II ed., con il progetto per il doc Cattedrali di sabbia (vincitore del Sardinian Sustainability Film Festival 2010 di Norbello, Menzione Speciale al “Documé Film Festival” di Roma e, nel 2013, Premio Miglior Documentario al Festival delle Terre di Roma. È fra gli ideatori e promotori del BabelFilm Festival di Cagliari, il primo festival dedicato alle produzioni cinematografiche realizzate in lingue minoritarie.


LE SPOSE DEL GRAND HORNU

di Carmìna Conte e Paolo Carboni
film documentario

Relazione descrittiva

“Le spose del Grand Hornu” è un film documentario ambientato fra il bacino carbonifero del Sulcis Iglesiente, la Grande Miniera di Serbariu, a Carbonia,  e quello del Borinage e della Vallonia, e della provincia  dell'HAINAUT in Belgio, nell'area del Grand- Hornu, comune di Boussu-Hornu, già centro direzionale delle miniere di carbone nell'800, oggi Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco.

Il docufilm, i cui autori sono Carmìna Conte, giornalista, e Paolo Carboni, regista,  è stato  insignito della  Menzione Speciale al Concorso Nazionale "STORIE DI EMIGRATI SARDI", indetto dalla FASI, in collaborazione con la Regione Sarda e la Società Umanitaria-Cineteca Sarda, nel 2009. La sua realizzazione è stata possibile grazie al contributo del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, del comune di Asuni, al supporto tecnico e al  contributo della Società Umanitaria-Cineteca Sarda di Carbonia, al supporto logistico e alla collaborazione del  Circolo dei Sardi del Borinage  e a quella dell'Associazione Bacu Abis-Sulcis Iglesiente.

 Si tratta di un documentario che racconta il dramma dei minatori sardi emigrati in massa nelle miniere di carbone del Belgio  negli anni '50, attirati dal miraggio di una vita migliore, in seguito agli accordi sottoscritti dal governo italiano con quello belga. E' stato girato in presa diretta fra Sardegna e Belgio, dove è stata fondamentale  la consulenza della professoressa Giovanna Corda, vicesindaco di Boussu-Hornu, originaria di Carbonia e già europarlamentare. La specialità  del docufilm  sta nel  racconto che si sviluppa  sotto un'ottica originale  e mai indagata prima, quella offerta dalle testimonianze, delle donne, fidanzate, giovani spose, tutte prematuramente vedove.

In parallelo, con questa vicenda si intreccia indissolubilmente la storia di chi è rimasto, di chi ha resistito alla chimera di un lavoro pagato 5 volte di più, quasta la promessa,  lontano, in terra straniera fra genti sconosciute. Per paura, o per troppo amore per la propria terra, per la propria casa.
Il documentario ha raccolto la testimonianza preziosa e irripetibile, delle “spose partite e delle spose rimaste”, o di chi ne ha raccolto il testimone, ricostruendo il filo conduttore  dei rapporti che si sono intrecciati, attraverso di loro, fra i paesi del Belgio e i paesi di provenienza, fino ad oggi, fino alla costruzione di un modo nuovo e diverso di essere Sardegna fuori dalla Sardegna.

Il docufilm ha raccolto testimonianze in Belgio, in particolarte, in alcuni comuni della Vallonia quali Hornu-Boussu, Tertre, Hautrage, Saint Ghislain, Quargnon, Jamappes, Flenu, Papurages, Wasmes, Dour, dove si è concentrata l'emigrazione sarda negli anni '50, partita  da numerosi comuni della Sardegna, quali, Carbonia, Guspini, Villamassargia, Gonnesa, Illorai, Bottida, Sorso, Chiaramonti, Dorgali e altri. In sardegna le testimonianze sono state raccolte a Carbonia e Bacu Abis, dove ancora vivono le vedove dei minatori del bacino carbonifero sardo.  Nello specifico, le testimonianze delle “spose rimaste” sono  pochissime, in quanto ormai molto in là negli anni, e quindi risulta ancor più prezioso e irripetibile il loro raccondo della vicenda mineraria, con i suoi drammi e le sofferenze infinite, legata alla crisi e alla fine delle attività mineraria nel nostro bacino carbonifero, anticipata rispetto alla chiusura delle miniere del Belgio.

In questa duplice e inedita ottica il docufilm  valorizza la storia del nostro patrimonio minerario, sotto un'angolatura inedita e originale, in un “gemellaggio” ideale, storico, umano e socio economico con il bacino del Grand Hornu, in un contesto di più ampio respiro europeo
 Qui, infatti, giovani spose, partite da tanti comuni dell'isola, molte dal bacino del Sulcis Iglesiente ma non solo,  si trovarono, in realtà, in una dimensione assai diversa da quella immaginata e propagandata.
Nel  Belgio non c'era l'Eldorado sognato, ma miseri villaggi anneriti dalla polvere di carbone, a bocca di miniera, gelide baracche di guerra, prive di servizi igienici,  solitudine, “disterru”, lingua e cultura incomprensibili e soprattutto l'incubo ricorrente della "maladie de la mine", la malattia della miniera, cancro, silicosi o altro che fosse. La maladie de la mine ha strappato precocemente alla vita e alla famiglia uomini giovani e vigorosi, annientati dalle terribili condizioni di lavoro e  dalla maggiore rischiosità delle miniere belghe rispetto a quello del bacino carbonifero del Sulcis Iglesiente.

 Il Grand-Hornu, centro direzionale delle miniere di carbone del Borinage dall'800, oggi complesso museale e archiettonico di grande valore, inserito nel Patrimonio dell'Unesco nel 2012, vuole simboleggiare tutte le miniere di carbone del Belgio, che hanno attirato a sè tanti giovani uomini e tante "spose", appunto, risucchiandoli nelle sue viscere.

Il documentario racconta  una tragedia di cui nessuno ha mai parlato e che non ha fatto "rumore", come quelle di Chaleroi o Marcinelle, la cui vicenda drammatica è giustamente inserita nella cronaca e nella Storia. “Le Spose del Grand Hornu” racconta la sofferenza  oscura di migliaia di uomini, spariti silenziosamente nei loro letti di dolore, nelle loro case, in uno stillicidio durato decenni, in un Paese straniero, lontani dalla loro terra, dalla loro isola, attraverso la memoria delle loro “spose vedove”. Un immane sacrificio che ha portato certamente ricchezza al Belgio e carbone all'Italia, ma ha privato la Sardegna di una ricchezza inestimabile, quella di uomini e  donne nel fiore degli anni.

Oggi i cimiteri del  bacino ex carbonifero del Borinage "fioriscono" di nomi e cognomi italiani, molti sono sardi:  le loro vedove, donne ormai ultraottantenni, hanno messo a disposizione, generosamente, con fiducia e umiltà la storia della loro vita, perchè la memoria dei loro uomini e della loro terra d'origine non vada perduta. Emerge, in questo quadro di sofferenza e disperazione “la forza delle donne sarde ” in Belgio e nell'Isola, capaci, sempre e comunque, di “reggere” il difficile percorso della vita, affrontando esperienze e difficoltà, oggi inimmaginabili.

Il lavoro è stato possibile, innanzitutto  grazie alla loro disponibilità e alla collaborazione di alcune personalità, quali Giovanna Corda,  di studiosi e personalità belghe quali gli storici Pierre Tilly e Marcel Capouillez,  del Circolo dei Sardi del Borinage; di Luciano Ottelli, studioso del mondo minerario sardo; grazie al sostegno della FASI, Federazione delle Associazioni Sarde in Italia, presieduta da Serafina Mascia, originaria di Carbonia, e al prezioso contributo della Cineteca Sarda- Società Umanitaria di Carbonia.